“Julie&Julia” [sempre de noartri] declinato all’Osteria…

Il signor Feelfood mi ha fatto un regalone molto speciale! Occasione? Il nostro non-sanvalentino! È uno di quei doni che butta carbone nella fornace di un progetto. È uno di quei gesti che ti dice a chiare lettere “Sono a bordo” anche se la quotidianità e le esigenze di una Famiglia “ti costringono” con i piedi per terra. È una bella costrizione, ci mancherebbe, ma comporta il fatto che per un pochino il famoso cassetto rimanga chiuso. Non ditegli che ve l’ho detto ma  parte della dedica diceva che magari, un giorno, anche la nostra Famiglia sarà immortalata in un libro del genere. Che sogno luminoso!

copertinaMa torniamo a noi: che cosa mi ha regalato? Un fantastico libro edito da Slow Food Editore. Il titolo è “la grande cucina delle OSTERIE D’ITALIA” e raccoglie le 22 migliori e più promettenti osterie del nostro territorio secondo Slow Food, appunto. Osterie e trattorie vengono infatti definite dagli autori come il “futuro della ristorazione italiana” in quanto “principali ambasciatrici della nostra cucina nel mondo”. È un libro fantastico perché parla della storia e dei valori di queste persone e delle loro famiglie davvero fuori dal comune. Sono persone che hanno fatto delle loro cucine una vera e propria missione: qualità, genuinità e passione per un’operosa quotidianità dedicata all’ospitalità. Degno di particolare nota in questo volume sono le immagini che non si limitano a ritrarre cibo o salette agghindate per l’occasione ma ritraggono volti sudati, persone all’Opera, mani sporche e Anime colme, abbracci e grande senso di Comunità.

Ultimo ma non ultimo, alla fine di ogni Storia troviamo alcune ricette che i cuochi delle Osterie stesse ci hanno messo a disposizione. Bene, ho deciso, un po’ alla “Julie&Julia”, che le proverò per voi e poi ve ne racconterò i risultati. Tutto questo nell’attesa di saltare in macchina per andare a visitare questi posti unici di persona e parlarvene a ragion veduta. [Aimè, per le ricette con le frattaglie temo che avrò bisogno del signor Feelfood perché…proprio non ce la faccio].

In attesa che io mi metta ai fornelli, rieccovi i dettagli del libro “la grande cucina delle OSTERIE D’ITALIA” edito da Slow Food Editore (Bra, 2013).

Buona lettura e buon appetito!

L’imperdibile mappazzone letterario: “Il tamburo di latta” di Guenter Grass

Posso dirmi orgogliosa di me stessa: ho appena finito il libro più difficile che abbia mai affrontato in vita mia…ma che è oggi uno dei miei preferiti in assoluto.

Si tratta de “Il tamburo di latta”.IMG_3208

Folle ed erudito, il Premio Nobel Guenter Grass attraversa i vent’anni più oscuri della storia tedesca (ascesa del Nazismo, Seconda Guerra Mondiale e Dopoguerra) attraverso l’autobiografia di un tamburino che, per protesta contro lo status piccolo borghese della sua famiglia e la condizione politica al centro della narrazione, decide di smettere di crescere a all’età di tre anni e…no, non posso svelarvi oltre. Mille sono le vicende e le avventure “dell’Oskar”: questo è un libro davvero impegnativo ma che vi terrà incollati alle pagine fino alla fine. Soprattutto se la Storia vi affascina e rapisce, come accade alla sottoscritta.

Perché difficile ed impegnativo? Innanzi tutto per lo stile narrativo: il protagonista, Oskar Matzerath (Bronski) narra la sua vita da una casa di salute nella quale risiede e passa in continuazione dalla prima alla terza persona singolare. Ci vogliono almeno un centinaio di pagine per accordare il cervello su queste note narrative. Il personaggio in sé poi è molto più che bizzarro; il che aggiunge difficoltà alla già di per sé complicata vicenda e narrazione. Inoltre l’intero libro è praticamente privo di dialoghi: l’intera vicenda è narrata e, anche se permette di “saltare” qualche passaggio un po’ prolisso, obbliga ad una lettura più attenta e concentrata.

Il fatto è che nel momento esatto in cui si medita di mollare il colpo, l’autore usa parole come cogitabondo, querulo oppure scaturigine rendendo impossibile un qual si voglia abbandono; insomma, una ricchezza lessicale che eleva. Io adoro incontrare parole “diverse” o in disuso o che mi costringano a riaprire il dizionario: questo è uno dei motivi per cui amo i classici e cerco sempre di alternarne uno alla lettura di scrittori contemporanei.

Sono molti i passaggi che vorrei lasciarvi ma ne ho scelto uno che spero vi faccia venir voglia di affrontare questo tomo: ne uscirete (io, almeno) lettori migliori.

“[…] abbandonavo l’ospedale civico, mi sfogavo prendendo un po’ d’aria passeggiando in giardino o lungo il recinto di rete metallica che circondava il terreno dell’ospedale con le sue maglie strette e regolari e mi persuadeva a una fischiettante imperturbabilità. Seguivo con lo sguardo i tram che andavano a Wersten e a Benrath, mi annoiavo piacevolmente sui viali che fiancheggiavano le piste ciclabili e sorridevo dello sfoggio di una natura che giocava alla primavera e in base al programma faceva esplodere gemme come petardi. Di fronte, il pittore domenicale di tutti noi spennellava ogni giorno di più un denso verde fresco di tubetto sugli alberi del cimitero di Wersten. I cimiteri mi hanno sempre attratto. Sono curati, univoci, logici, virili, vivi. Nei cimiteri si può trovare il coraggio delle decisioni, solo nei cimiteri la vita acquista dei contorni – non mi riferisco alle bordure tombali – e, se si vuole, un senso.”

…quando libri e relazione possono essere una buona risposta alle nostre paure.

Qui a Feel Food Speaks si  parla di libri, musica e cucina, lo so bene.

E so anche che questo post potrebbe sembrare un tantinello fuori tema ma, fidatevi, non lo è. Prendetevi qualche minuto, che siate genitori oppure no, per leggerlo fino in fondo. Il brano che vi riporto ha scatenato grandi riflessioni in me.

Come futuri genitori, sono molte le cose che, molto umanamente, ci spaventano. La domanda elevata ai massimi sistemi è, ovviamente: ma saremo in grado di essere “bravi” genitore? Sempre che sia chiaro cosa questo significhi.

Sapremo dare a questa persona ciò di cui realmente ha bisogno e non ciò di cui noi riteniamo debba aver bisogno: la differenza è sostanziale se ci si pensa bene!

Di conseguenza cerchiamo di leggere il più possibile per apprendere “i rudimenti” del “bravo genitore”, sempre che ve ne siano…

Tra le mille letture più o meno melense, più o meno poetiche, più o meno pedagogiche, etc. eccovene una che ci ha tanto colpito. Non entro nel merito della correttezza dei contenuti perché sarebbe troppo intimo e soggettivo. Ne condivido, però il senso: quando libri e relazione possono essere una buona risposta alle nostre paure o mancanze. Soprattutto in un su un tema così grande.

 

Che cosa dovrebbe sapere un bambino di quattro anni?

Di recente guardavo una bacheca sull’educazione dei figli e ho letto il messaggio di una madre preoccupata perché suo figlio, di quattro anni e mezzo, non sapeva abbastanza cose. “Che cosa dovrebbe sapere un bambino di quattro anni?”, chiedeva.

Sono rimasta non solo rattristata ma anche profondamente contrariata dalla maggior parte delle risposte. Una mamma postava una minuziosa lista di tutte le cose che suo figlio sapeva o era in grado di fare. Contare fino a dieci, elencare i pianeti, scrivere il suo nome e cognome e così via. Altre intervenivano sullo stesso tono, elencando tutte le cose che i loro figli – alcuni di soli tre anni – sapevano o erano in grado di fare. Poche altre rispondevano che ogni bambino si sviluppa in base ai propri tempi e che non era il caso di preoccuparsi.

Mi ha infastidito molto vedere queste madri che rispondevano a una mamma preoccupata elencando tutte le cose che i loro figli sapevano e il suo non sapeva ancora fare, facendola preoccupare ancora di più. Siamo una civiltà talmente competitiva che persino i nostri bambini in età prescolare sono diventati trofei e oggetti di vanto. L’infanzia non dovrebbe essere una gara. Perciò propongo una lista di quello che a mio avviso un bambino di quattro anni dovrebbe sapere.

1. Dovrebbe sapere di essere amato completamente e incondizionatamente, in ogni momento.

2. Dovrebbe sapere che è al sicuro, e dovrebbe sapere come restare al sicuro in pubblico, in mezzo agli altri e in varie situazioni. Dovrebbe sapere che può fidarsi del suo istinto riguardo alle persone, e che non deve mai fare qualcosa che non gli sembra giusto, a prescindere da chi glielo chiede. Dovrebbe sapere quali sono i suoi diritti personali e sapere che la sua famiglia li sosterrà.

3. Dovrebbe saper ridere, fare cose ridicole, essere ingenuo e usare la fantasia. Dovrebbe sapere che non è mai un problema colorare il cielo di arancione e disegnare gatti con sei zampe.

4. Dovrebbe sapere quali sono i suoi interessi ed essere incoraggiato a seguirli. Se non gli importa nulla di imparare i numeri, i suoi genitori dovrebbero capire che tra qualche tempo, quasi per caso, li imparerà, e intanto dovrebbero permettergli di dedicarsi a navicelle spaziali, disegni, dinosauri o a giocare nel fango.

5. Dovrebbe sapere che il mondo è magico e che lo è anche lui. Dovrebbe sapere di essere meraviglioso, brillante, creativo, amorevole e stupendo. Dovrebbe sapere che trascorrere la giornata all’aperto a creare collane di margherite, torte di fango e case per le fate è encomiabile quanto dedicarsi alla fonetica. Mi correggo: è molto più encomiabile.

Ma ancora più importante è la lista delle cose che i genitori dovrebbero sapere.

1. Che ogni bambino impara a camminare, a parlare, a leggere e a far di conto con i propri tempi, e che i suoi tempi non influiranno su quanto sarà bravo a camminare, a parlare, a leggere e a far di conto.

2. Che l’unica cosa realmente in grado di produrre buoni risultati accademici e alti punteggi nell’ACT (American College Testinig) è leggere ai bambini. Non cartelline didattiche, non libri di esercizi, non asili all’avanguardia, non giocattoli interattivi o computer, ma la mamma, o il papà, che ogni giorno o ogni sera (o di giorno e di sera!) si prende del tempo per sedersi a leggere al figlio un libro meraviglioso.

3. Che il più intelligente o il più bravo della classe non è necessariamente il più felice. Siamo così presi a tentare di offrire dei “vantaggi” ai nostri figli che stiamo consegnando loro delle vite dominate dallo stress e dal multitasking, come le nostre. Uno dei vantaggi maggiori che possiamo offrire ai nostri figli è un’infanzia semplice e spensierata.

4. Che i nostri figli meritano di essere circondati dai libri, dalla natura, da materiali per l’espressione artistica e dalla libertà di esplorarli. Molti di noi potrebbero sbarazzarsi del 90 per cento dei giocattoli dei figli senza che se ne senta la mancanza, ma alcune cose sono importanti: i giocattoli da assemblare, come i Lego o i blocchetti per costruzioni, giocattoli creativi, come tutti i tipi di materiali artistici (di buona qualità), gli strumenti musicali (quelli veri e multiculturali), abiti per travestirsi e libri, libri e ancora libri. (Tra l’altro molte di queste cose si possono comprare a buon prezzo nei negozi di articoli usati). I bambini dovrebbero anche avere la libertà di esplorare queste cose: giocare nel seggiolone con cucchiai di legumi secchi (sotto la supervisione di un adulto, ovviamente), manipolare il pane e fare pasticci, usare i colori e modellare la plastilina al tavolo della cucina mentre prepariamo la cena, anche se imbrattano dappertutto, avere un posto in giardino dove possono scavare liberamente il manto erboso per creare una buca di fango.

5. Che i nostri figli hanno bisogno di una maggiore presenza da parte nostra. Siamo diventati così bravi a dire che dobbiamo prenderci cura di noi stessi che alcuni di noi usano quest’idea come scusa per fare in modo che il resto del mondo si prenda cura dei loro figli. Certo, tutti abbiamo bisogno di fare un bel bagno senza che nessuno ci disturbi, di passare del tempo con gli amici, di concederci qualche stacco e avere qualche spiraglio di vita fuori dal ruolo di genitore. Ma viviamo in un’epoca in cui le riviste per genitori raccomandano di provare a dedicare dieci minuti al giorno a ogni figlio e di programmare una giornata della famiglia un sabato al mese. Così non va! I nostri figli hanno meno bisogno di Nintendo, computer, attività doposcuola, lezioni di danza, attività di gruppo e partite di calcio di quanto hanno bisogno di NOI. Hanno bisogno di padri che si siedono ad ascoltare le loro giornate, di madri che si uniscono a loro per svolgere insieme attività manuali, genitori che dedicano del tempo a leggere loro delle storie e a fare gli stupidi insieme a loro. Hanno bisogno che facciamo delle passeggiate con loro nelle sere di primavera, e non importa se i piccoli camminino a quindici metri all’ora. Meritano di aiutarci a preparare la cena, e non importa se ci vorrà il doppio del tempo e il doppio del lavoro. Meritano di sapere che per noi sono una priorità, e che amiamo davvero stare con loro.

[…]

Se vi sembra che vostro figlio abbia delle lacune in alcune aree, cercate di capire che non è indice di fallimento, né vostro, né di vostro figlio. È solo che, per qualche motivo, quell’area è rimasta scoperta. I bambini imparano qualunque cosa gli venga sottoposta, e l’idea che tutto ciò che devono sapere sono quelle quindici cose a quell’esatta età è piuttosto sciocca. In ogni caso, se volete che apprendano quelle cose, trovate delle applicazioni pratiche, giocate con l’argomento e vedrete che vostro figlio lo imparerà naturalmente.

Contate fino a sessanta quando impastate una torta nel mixer e vedrete che lui imparerà i numeri. Prendente in biblioteca qualche libro divertente sullo spazio o sull’alfabeto. Fate esperimenti con qualunque cosa, dalla neve in cortile ai gambi di sedano per colorare il cibo. Tutto accadrà naturalmente, con molto più divertimento e molta meno pressione.

[…]

Di cosa ha bisogno un bambino di quattro anni?
Di molto meno di quanto pensiamo, e di molto di più.

Il testo completo lo trovate qui.

Grazie del vostro tempo!